La tela cerata, pesante e nera, si chiude alle nostre spalle, è l'ultima immagine che la memoria visiva conserverà per le successive tre ore e mezza. I piedi si fanno insopportabilmente pesanti, è fuori discussione avventurarsi in un "avanti o dietro" che farebbe perdere la mappatura mentale di una stanza sconosciuta. Immobile, inchiodata ad un pavimento infido e scivoloso, sono pungolata da suoni ed odori sconosciuti, irriverenti nella loro prominenza. Le mani ora avanzano all'unisono, i palmi disperatamente spalancati in cerca di qualcosa di familiare, di una superficie su cui speculare; non trovo nulla, ma un angolo del buio chiama il mio nome, non individuo la provenienza, non riesco a pronunciare un suono udibile, ciò che esce dalle labbra socchiuse galleggia nell'aria nera, priva di gravità, priva di memoria sensoriale. Le dita ora si muovono come i tentacoli di un anemone marina e si attaccano, presumibilmente, alla schiena di qualcuno, la voce che aveva pronunciato il mio nome ora prende la mia mano, una presa ferma e rassicurante, vengo indirizzata dietro il tavolo, verso la sedia, verso ciò, mi si dice, sia il mio posto a tavola. Una cena al buio, con commensali in gran parte sconosciuti.
Respirare, ora che ho un posto nel nulla è ridicolamente difficile, è l'ansia che sale eppure io paura del buio non l'ho mai avuta, ma questa non è l'oscurità temporanea più profonda, è la sperimentazione della cecità è l'annullamento del senso che più degli altri domina la percezione del reale, condiziona la socialità della persona, fuorvia ed impigrisce l'intuito e l'idea pura delle cose. Percepisco la presenza di altre persone accanto a me, ed il vuoto inizia a modellarsi sulle sagome immaginarie della gente, riconosco, prima che mi parli, l'odore di uno dei miei due amici. Le mani ora sono composte sulle ginocchia, in attesa di comprendere quali movimenti compiere, tento di immaginare la predisposizione della sala, della tavola apparecchiata, degli oggetti davanti a me e per farlo attingo ai ricordi che possiedo di queste quotidiane realtà, ma nulla, la visualizzazione non prende alcuna forma ed ho la sensazione di muovermi in un ambiente fragile. Allora è lo scivolare l'azione che somma tutte le idee di movimento, le dita risalgono parallelamente sulla tovaglia, fino alle posate poi, è l'assimmetria dei bicchieri che fa perdere il parametro alla mia sinistra, lì c'è il vuoto. Fermo la mano e seguo coi polpastrelli la linee della tessitura della stoffa. Poi, è il freddo e bagnato della condensa di una bottiglia, traccio il profilo cingendone il collo tra pollice e medio. Gli occhi sono spalancati e mai così inutili, man mano che l'ansia diminuisce avverto più chiassose le fonti di odori e suoni, sono insopportabilmente avvolgenti, e mi sostengono in questo velluto nero. La cena inizia le portate si succedono e aumentano in difficoltà, gestire il vitale rito della nutrizione è un operazione complessa che richiede inventiva e fantasia. I gesti, i suoni e l'aria che accarezza tangibilmente la pelle sono liquidi, fluidi sul corpo che si protende sempre più verso il proprio interlocutore, le pose del viso sono le medesime, le riconosco dai muscoli che metto in movimento, eppure non mi vedo, non mi vedono ma so, con piccata convinzione, che non sono mai stata così simile a me stessa. Metto più cura nel modulare la voce, nello scegliere le parole un'attenzione che dono a me stessa e che restituisco all'altro che mai se ne accorgerà. In questa bolla nera le percezioni sono spalancate, sfacciate come il desiderio di toccare qualsiasi cosa, si frantumano le barriere di timidezza e riservatezza per essere lanciati nella comunicazione più pura con l'altro. La maggiore dimestichezza col buio libera i gesti dall'inamidatura iniziale, e i polpastrelli si tingono di un'esperienza assoluta, intima, conviviale e bilanciante. Non c'è più nulla che gioca col mio baricentro e lì, nel buio, l'unica cosa che riesco a visualizzare è un'assurda e rappacificante idea di ordine.
Respirare, ora che ho un posto nel nulla è ridicolamente difficile, è l'ansia che sale eppure io paura del buio non l'ho mai avuta, ma questa non è l'oscurità temporanea più profonda, è la sperimentazione della cecità è l'annullamento del senso che più degli altri domina la percezione del reale, condiziona la socialità della persona, fuorvia ed impigrisce l'intuito e l'idea pura delle cose. Percepisco la presenza di altre persone accanto a me, ed il vuoto inizia a modellarsi sulle sagome immaginarie della gente, riconosco, prima che mi parli, l'odore di uno dei miei due amici. Le mani ora sono composte sulle ginocchia, in attesa di comprendere quali movimenti compiere, tento di immaginare la predisposizione della sala, della tavola apparecchiata, degli oggetti davanti a me e per farlo attingo ai ricordi che possiedo di queste quotidiane realtà, ma nulla, la visualizzazione non prende alcuna forma ed ho la sensazione di muovermi in un ambiente fragile. Allora è lo scivolare l'azione che somma tutte le idee di movimento, le dita risalgono parallelamente sulla tovaglia, fino alle posate poi, è l'assimmetria dei bicchieri che fa perdere il parametro alla mia sinistra, lì c'è il vuoto. Fermo la mano e seguo coi polpastrelli la linee della tessitura della stoffa. Poi, è il freddo e bagnato della condensa di una bottiglia, traccio il profilo cingendone il collo tra pollice e medio. Gli occhi sono spalancati e mai così inutili, man mano che l'ansia diminuisce avverto più chiassose le fonti di odori e suoni, sono insopportabilmente avvolgenti, e mi sostengono in questo velluto nero. La cena inizia le portate si succedono e aumentano in difficoltà, gestire il vitale rito della nutrizione è un operazione complessa che richiede inventiva e fantasia. I gesti, i suoni e l'aria che accarezza tangibilmente la pelle sono liquidi, fluidi sul corpo che si protende sempre più verso il proprio interlocutore, le pose del viso sono le medesime, le riconosco dai muscoli che metto in movimento, eppure non mi vedo, non mi vedono ma so, con piccata convinzione, che non sono mai stata così simile a me stessa. Metto più cura nel modulare la voce, nello scegliere le parole un'attenzione che dono a me stessa e che restituisco all'altro che mai se ne accorgerà. In questa bolla nera le percezioni sono spalancate, sfacciate come il desiderio di toccare qualsiasi cosa, si frantumano le barriere di timidezza e riservatezza per essere lanciati nella comunicazione più pura con l'altro. La maggiore dimestichezza col buio libera i gesti dall'inamidatura iniziale, e i polpastrelli si tingono di un'esperienza assoluta, intima, conviviale e bilanciante. Non c'è più nulla che gioca col mio baricentro e lì, nel buio, l'unica cosa che riesco a visualizzare è un'assurda e rappacificante idea di ordine.
2 Comments:
che meraviglia clà, che meravigliosa meraviglia il tuo modo di raccontare quest'esperienza.
mi hai fatto percepire la cecità.. gran bel racconto..
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